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Le basi neuroscientifiche della psicoterapia

Le moderne neuroscienze hanno dimostrato che il cervello umano è permeabile alla psicoterapia, nel senso che le parole inducono cambiamenti strutturali nell’encefalo tanto quanto se non addirittura di più, e soprattutto in maniera più duratura e definitiva, di altri presidi terapeutici come gli psicofarmaci. Le neuroscienze ci stanno legittimando in tutto e ci stanno legittimando soprattutto in una cosa per me fondamentale, nel fatto che nell’inconscio ci sono le nostre principali risorse. Quando ho approcciato la prima volta la terapia strategica sono partito, come molti, dai libri di Milton Erickson, famoso ipnotista, che è stato dapprima uno psicoanalista, ha lavorato in manicomio, poi si è staccato e ha dato avvio alle terapie non comuni basate sull’ipnosi e per la prima volta nella storia sull’ipnosi senza trance. Lui diceva che vedeva nell’inconscio dei pazienti non solo i problemi, ma soprattutto le soluzioni. Le neuroscienze moderne stanno dicendo esattamente quello che diceva Erickson. Nell’inconscio umano, che è l’80% di quello che siamo e facciamo, ci sono le nostre principali risorse. Nella figura 1 e 2 vediamo il nostro cervello che è il 2% del peso corporeo. In una persona di 70 kg pesa meno di un chilo e mezzo, tanto per intenderci meno di un notebook della Apple ed è molto più performante di qualunque computer costruito dall’uomo. Nessun bioingegnere è riuscito finora a costruirlo in modo analogo. In particolare nella figura 1 vediamo la parte più superficiale del cervello che va sotto il nome di corteccia e le sue circonvoluzioni che ci distinguono dalle altre specie animali. Se prendete il cervello di un gatto, di un cane è liscio, il nostro invece ha tutte quelle circonvoluzioni e in quelle circonvoluzioni c’è la coscienza, la consapevolezza, il dire “io”, lo diciamo con quella parte del cervello, che è la parte più consapevole, è l’apice dell’evoluzione. Nessuna specie sulla terra è riuscita ad arrivare a quelle vette. E la corteccia è il 20% di quello che siamo. Se passiamo alla figura 2, vediamo invece la sezione del cervello, in particolare vediamo l’emisfero destro dalla parte mediale. Sotto la corteccia trovate il cervello più antico, che si è evoluto nella parte primordiale della nostra storia. La parte della corteccia va sotto il nome di neocerebrum, cervello nuovo, che è quello che si è evoluto per ultimo, quello che vedete sotto le circonvoluzioni viene detto archicerebrum, cervello antico, detto anche rinencefalo, il cervello dell’olfatto.

Questo organo ha permesso al genere umano di sopravvivere e di riprodursi e noi rientriamo, grazie a questo organo, nell’1% delle specie viventi comparse sulla terra che non si sono ancora estinte. Il nostro cervello ha compiuto questo miracolo.

Il cervello è la nostra centralina, in particolare il cervello superficiale è la parte più evoluta, ma ha un limite: veicola al massimo sette informazioni in parallelo. La parte centrale, più antica, è quella meno evoluta, ma veicola miliardi di informazioni in parallelo. Mentre siamo occupati a fare le nostre cose, lavorare, parlare, guardare un video, …, la parte antica del nostro cervello regola la postura, la contrazione dei muscoli volontari ed involontari, il battito cardiaco, il ritmo della respirazione, regola tutti i diametri delle arterie dall’aorta che è la più grande al più piccolo dei capillari.

L’encefalo umano viene da molto lontano. Nel 1991 due turisti tedeschi nella val Senales, in Trantino Alto Adige, facendo un itinerario un po’ alternativo alle vie turistiche normali hanno scoperto un cadavere. Impressionati hanno chiamato i soccorsi pensando che fosse il cadavere di un turista caduto accidentalmente in un canalone. La sorpresa fu che non era un turista, ma era la salma di un uomo risalente all’età del rame, al 3.200 a.C., era del neolitico. Questa salma è stata conservata dai ghiacci per più di 5000 anni ed è arrivata quasi intatta alla nostra osservazione. Sorprendente è stato scoprire che era un uomo di 45 anni, che dopo aver passato diverse pene, era stato assassinato. Era riuscito però ad avere dei figli. Ma la più grande sorpresa è stata che, analizzando il Dna di 4000, 5000 abitanti austriaci dei villaggi limitrofi, si è scoperto che il  DNA di persone del 1991 ed il DNA della salma coincidevano in 19 punti. Noi veniamo da molto lontano. Il nostro cervello non risale solo alla nostra infanzia, risale all’infanzia dell’umanità.

Le neuroscienze in particolare legittimano il nostro concetto di sistema percettivo reattivo e soprattutto legittimano la nostra filosofia di fondo, che è il costruttivismo radicale. Due scienziati, Heinz von Foerster e Ernst von Glasersfeld, uno ingegnere e l’altro matematico, avevano elaborato la filosofia del costruttivismo radicale. Avevano dimostrato che il nostro cervello, così evoluto, non descrive la realtà, ma la costruisce letteralmente. Noi vediamo i colori, ma i colori non esistono in natura. Heinz von Foerster ha dimostrato che sono onde elettromagnetiche che colpiscono i coni ed i bastoncelli della retina ed i coni ed i bastoncelli della retina trasformano queste onde elettromagnetiche nel rosso, nel verde, nel giallo, ma questi colori non esistono, sono nostre costruzioni. L’idea del costruttivismo radicale trova fondamento nelle neuroscienze in svariatissimi esperimenti. Nella figura 3 vediamo l’esperimento di Shepard, uno psicologo della Stanford University.

Come dice di lui Michael Gazzaniga nel libro La mente inventata:

R. Shepard, uno dei più importanti psicologi al mondo, muovendosi agilmente tra la matematica, la fisica, la psicologia e la teoria evolutiva, ci guida sulla percezione descrivendoci come il cervello è strutturato per vedere in un certo modo. Consideriamo la figura a. Shepard disegna due tavoli, uno sul piano verticale e l’altro sul piano orizzontale così da aggiungere prospettiva. I tavoli appaiono di forma e misura differenti, ma in realtà non è così. Ecco che state di nuovo vedendo ciò che il cervello sta facendo automaticamente per voi. Se non ci credete, prendete un foglio di carta da ricalco e disegnate il contorno della superficie del tavolo verticale, quindi poneteli sopra il tavolo orizzontale: sono esattamente della stessa misura. Fatelo e ne rimarrete stupiti.

La spiegazione di questo fenomeno risiede nel modo in cui il cervello elabora le informazioni che si trovano in una struttura bidimensionale, la retina, per trasformarle in una realtà tridimensionale. Ecco dunque cosa accade: alcuni indici che determinano l’effetto prospettico, le linee dell’asse maggiore, comportano che il tavolo sulla sinistra si estenda in profondità. Le linee dell’asse lungo del tavolo sulla destra formano un angolo retto con la linea dello sguardo. Poiché il cervello reagisce a questi indici, le immagini dei due tavoli sulla retina sono identiche. Ma il cervello risponde automaticamente agli indici di profondità del tavolo sulla sinistra e deduce (per voi) che, poiché esso si estende in profondità, l’immagine è ritratta in prospettiva; inoltre, dato che è ritratto in prospettiva come un tavolo reale in profondità reale, il tavolo verticale deve essere più lungo. Per lo stesso motivo il tavolo orizzontale sembra più largo. Ci sono anche altri indizi che contribuiscono a dare origine a questa illusione, ma anche se riuscite a comprendere appieno che le immagini sono esattamente uguali e la vostra coscienza sa questa verità, il saperlo non ha alcun effetto sulla vostra percezione. Il cervello provvede automaticamente alla correzione e voi non potete farci nulla..

Il cervello costruisce la realtà per quello che ci serve, non vuole che facciamo la fotografia di quello che c’è, vuole che costruiamo una realtà utile. Ernst von Glasersfeld usava il termine “realtà viabile”. Non ci interessa sapere come è il mondo, ci interessa muoverci in quel mondo. Così nel cervello si incontrano scienza e filosofia. Come diceva Heisenberg a proposito della fisica: le nuove scoperte scientifiche hanno implicazioni filosofiche e, a loro volta, le implicazioni filosofiche hanno ulteriori implicazioni nella scienza. 

Il cervello ha struttura microscopica molto complessa. Ha 100 miliardi di cellule nervose che sono collegate da sinapsi. Le sinapsi sono 100 mila miliardi. Le sinapsi sono state scoperte all’inizio del secolo scorso da alcuni scienziati premi nobel, uno era italiano Golgi, poi Sherrington, Cajal e da quando abbiamo scoperto le sinapsi abbiamo scoperto che il nostro cervello non è fisso come forse volevano i genetisti di una volta, ma è un computer molto evoluto che si modifica plasticamente nel corso della vita. Anche qui ci sono stati svariati filoni teorici, da chi diceva che il nostro carattere, le nostre patologie mentali fossero determinate geneticamente, a chi diceva che erano determinate dall’ambiente. La moderna genomica ha scoperto che il cervello e l’ambiente, quindi i nostri geni e l’ambiente si relazionano, comunicano e si modificano. Noi abbiamo un corredo genetico fissato che però si trascrive o si silenzia a seconda delle esperienze che facciamo. Nella figure 4 e 5 si vede la struttura delle sinapsi. Si vede il processo di una cellula nervosa che si collega con il processo di un’altra cellula nervosa, nel mezzo c’è uno spazio. Il cervello funziona per correnti elettriche, esattamente come un impianto elettrico, ma nel salto tra una cellula e l’altra il segnale elettrico viene trasferito da molecole chimiche.

La sinapsi è la base di tutto quello che si fa in psicoterapia e in psicofarmacologia. Nelle sinapsi vengono liberate delle sostanze chimiche, i neurotrasmettitori. Hanno vari nomi, quelli più interessanti da un punto di vista operativo sono sei: adrenalina, noradrenalina, acetilcolina, acido gamma amminobutirrico, dopamina, serotonina. Queste sostanze agiscono sui recettori. Il motivo per cui i neurologi, gli psichiatri danno i farmaci è che cercano di colpire con i farmaci i recettori, in modo da modificare la plasticità del cervello. Questa è la base di tutta la psicofarmacologia. L’insieme dei neurotrasmettortri chimici viene detto la “Farmacopea di Dio”. I farmacologi cercano di imitare Dio o la natura modificando i segnali elettrochimici del cervello. Le neuroscienze hanno scoperto che i recettori sono tanto sensibili ai farmaci quanto, se non di più, alle parole. In particoalre Benedetti che è il principale studioso al mondo dell’effetto placebo, lavorando sul dolore ha ottenuto effetti antidolorifici dicendo al paziente, magari un paziente oncologico con con dolori molto forti e cronici: “sto per iniettarti un antidolorifico quindi tra poco proverai sollievo dal dolore” e con una macchina iniettava l’antidolorifico. Dopo questa esperienza, al paziente, la volta dopo, veniva detta la stessa frase, ma questa volta la macchina non iniettava l’antidolorifico, partiva soltanto la parola e si è scoperto che il dolore scompariva nella stessa maniera sia con le parole che con l’antidolorifico. Come dire, visto che gli psicofarmaci sono stati inventati nel secolo scorso negli anni 50, fino agli anni 70, che quei recettori la natura li ha creati per averre sensibilità più alle parole che agli psicofarmaci. Inoltre, nel 1949 Donald Hebb, canadese ha formulato un postulato, che poi è passato alla storia come legge di Hebb, secondo cui le cellule nervose, se si attivano in serie ravvicinata nell’arco di 100 millesimi di secondo, costruiscono un circuito poloisinaptico a bassa soglia, che scatta con stimoli molto sottodimensionati. Per esempio, nel panico, il paziente costruisce un circuito polisinaptico che scatta a bassa soglia, con le tentate soluzioni dell’evitamento, del controllo delle reazioni della paura, … Se ripetuto nel tempo e fatto scattare in serie ravvicinata si costruisce un sistema polisinaptico irrefrenabile, che ad un certo punto scatta da solo. Le neuroscienze hanno scoperto, anche con moderni sistemi di radiologia per immagini, che noi costruiamo la patologie creando dei circuiti che ad un ceto punto scattano al di fuori della nostra volontà, quind a livello sottocorticale. La psicoterapia viene ulteriormente legittimata, basti pensare al nostro costrutto di “tentata soluzione” e alle nostre terapie che usano delle tecniche, tipo la mezzora di peggiore fantasia, ripetuta per due settimane che poi prosegue ai 5 minurti per 5 volte al giorno, … Costruiamo un circuito polisinaptico a basa soglia che poi scatta da sé anche quando noi leveremo i compiti. I neuroscienziati hanno scoperto che le patologie, ma anche le terapie vengono costruite attraverso a modificazioni microstrutturali del cervello. Con la psicoterapia si possono costruire circuiti polisinaptici virtuosi al posto di circuiti viziosi. Come diceva il linguista Austin si possono fare cose con le parole.

Bibliografia di riferimento

AA.VV. Neuroscienze, Zanichelli
J.L. Austin, Come fare cose con le parole, Marietti
J. Bargh, A tua insaputa, Boringhieri
M. Gazzaniga, La mente inventata, Guerini e Associati
M. Goldwell, In un batter di ciglia, Mondadori
W. Heisenberg, Fisica e filosofia, Feltrinelli

Psicosi e presunte psicosi

Video intervista ad Andrea Vallarino sul canale Facebook del Centro di Terapia Strategica di Arezzo

Il tema della psicosi rappresenta un terreno di incontro tra la psicoterapia, le neuroscienze e la psicofarmacologia.

Innanzitutto bisogna definire la psicosi, che è una sindrome che denota più malattie. La malattia più significativa tra le psicosi è la schizofrenia.

La schizofrenia viene definita da sintomi positivi, laddove per positivi si intende che aggiungono qualcosa al paziente, non certo che sono funzionali: deliri e allucinazioni. Tra i deliri quello più evocativo è il delirio di persecuzione. Il paziente ritiene di essere vittima di complotti o di essere controllato da forze esterne; ma anche il delirio di grandezza ed il delirio religioso. E da sintomi negativi, perché sottraggono qualcosa alle risorse della persona: sintomi cognitivi come eloqui senza senso, incapacità di definire i contesti relazionali, comportamenti afinalistici, comportamenti aggressivi, abulia, alogia, anedonia.

Il problema è come diagnosticare la schizofrenia. Al riguardo mi viene in mente l’esperimento di David L. Roshenam per verificare la scientificità delle diagnosi psichiatriche. Un gruppo di  otto pseudopazienti, tra cui psicologi e psichiatri, che decisero segretamente, a scopo di ricerca, di presentarsi in vari ospedali lamentando sintomi e disturbi di natura psichiatrica (sentivano delle voci). Furono tutti quanti ricoverati in reparti di psichiatria.

Dopo qualche giorno di ricovero avrebbero dovuto mostrarsi per quello che erano e cioè persone “sane”. Tutte le volte che gli veniva chiesto come stavano esibivano la loro salute mentale, dicendo come d‘altra parte era vero, che si sentivano bene, che non sentivano le voci, che non avevano più nessuno dei sintomi psichiatrici per cui erano stati ricoverati con la diagnosi di “schizofrenia”, né avevano alcun altro sintomo. Non ci fu verso perché tutti vennero dimessi dopo altri lunghi giorni e settimane di ricovero con la diagnosi confermata di “schizofrenia” anche se in remissione. Gli unici che si accorsero del ‘gioco’ furono gli altri pazienti che individuarono gli ‘infiltrati’, dicendo: ‘…tu non sei pazzo, tu sei un professore universitario; …tu un giornalista…, etc.’.

In terapia strategica si privilegia la diagnosi operativa: si interviene sulla persona con tecniche non invasive per verificare la diagnosi sulla base della risposta all’intervento. Nell’ambito delle psicosi si interviene con un controdelirio. L’esempio più fulmineo di controdelirio che io ricordo è il caso descritto da Don D. Jackson, fondatore del Mental Research Institute di Palo Alto in California, del paziente che entra nella stanza della seduta psicoterapeutica, si siede e dice: “Dottore, dottore, lei sa che qui in questa stanza ci sono delle microspie?” Ed il dottore disse: “ Ah, sì? Cerchiamole!” Si misero a cercare insieme le microspie per un po’, finché il paziente si fermò e disse: “Dottore, qui uno dei due è pazzo!”  Secondo la logica della contraddizione, il limite di un delirio è un delirio più grande, per cui la strategia usata con i pazienti in questi casi è o assecondare il delirio, condividendolo con il paziente, o idearne uno simile per struttura, ma più grande per contesto. Un medico o uno psicologo, semplicemente assecondando un delirio, creano un doppio legame terapeutico al posto dei doppi legami patogeni  cui sono stati sottoposti i pazienti nei loro contesti. Si devono creare di volta in volta controdeliri calzanti. Ad un delirio religioso si risponde con un controdelirio religioso. Ad un delirio su base tecnologica (mi spiano attraverso il computer), si risponde con un controdelirio tecnologico.

Se poi, attraverso i metodi della psicoterapia, il paziente guarisce si conclude di essere stati di fronte ad una presunta psicosi, in quanto la psicosi vera per definizione è inguaribile.

Nel caso, invece, ci si trovi di fronte ad una schizofrenia vera occorre utilizzare anche gli psicofarmaci.

Per somministrare gli psicofarmaci bisogna conoscere bene la neurotrasmissione chimica del cervello. La base della psicofarmacologia è la conoscenza dei neurotrasmettitori chimici che sono alcune dozzine, ma al momento quelli importanti per guidare la cura farmacologica delle sindromi psichiatriche sono sei: acetilcolina, noradrenalina, serotonina dopamina, glutammato, GABA (acido gamma amino butirrico).
Il neurotrasmettitore implicato nella schizofrenia è la dopamina. Le neuroscienze moderne ipotizzano che nella schizofrenia ci sia una disconnessione tra neuroni gabaergici e circuiti glutammatergici che si attivano in modo eccessivo attivando a loro volta i circuiti dopaminergici con la secrezione di un eccesso di dopamina, che è alla base dei sintomi postivi con la stimolazione della via mesolimbica che coinvolge il nucleo accumbens (adiacente, accumbens septi, adiacente al setto che divide l’emisfero destro dall’emisfero sinistro del cervello. In altre vie come la via mesocorticale, la via nigrostriatale e la via tuberoinfundibolare con lo stesso meccanismo dell’attivazione delle vie glutammatergiche si crea una diminuzione della dopamina, perché tra la vie glutammatergiche e le vie dopaminergiche si inseriscono neuroni gabaergici che hanno una funzione inibitoria. E’ la teoria dei quattro neuroni: la disconnessione tra una neurone gabaergico e la via glutammatergica crea una’attivazione dei neuroni glutammato che crea un’attivazione di un neurone GABA inibitore del neurone a dopamina, creando un deficit di dopamina nelle vie citate con la creazione di sintomi motori, tremori a tipo Parkinson, sintomi cognitivi, emotivi, ed anche ormonali con galattorrea tanto nell’uomo che nella donna. Su questi sintomi i farmaci a disposizione sono gli antipsicotici di prima generazione come l’aloperidolo, che però hanno importanti effetti collaterali, antipsicotici di seconda generazione, che vengono detti anche antipsicotici atipici perché hanno meno effetti collaterali, e infine antipsicotici di terza generazione (agonisti parziali) che allo stesso modo creano meno effetti collaterali.

Quello che colpisce nell’analisi della schizofrenia da parte dei neuroscienziati è che vengono accreditate molte delle tesi della psicoterapia, in particolare della terapia strategica. I neuroscienziati negano che ci sia una causa genetica della schizofrenia. D’altra parte la prova più evidente di questo risiede nei gemelli omozigoti che hanno lo stesso patrimonio genetico, in cui uno dei gemelli diventa schizofrenico e l’altro invece no. Se fosse vera la teoria genetica dovrebbero essere o entrambi schizofrenici o entrambi sani.

Lo studio della neurotrasmissione chimica, che viene detta anche la Farmacopea di Dio ha evidenziato come i neurotrasmettitori hanno influenze sulla trascrizione o sul silenziamento dei geni dei neuroni. Gli psicofarmaci agirebbero, in via sperimentale almeno, come favorenti o inibenti della trascrizione e del silenziamento dei geni dei neuroni. Allo stesso modo agirebbero le tecniche e le parole della psicoterapia. E’ vero quindi che la genetica dei neuroni influenza il comportamento, ma è altresì vero che il comportamento influenza la genetica. La psicoterapia creando anche nuovi circuiti polisinaptici ed influenzando la evidenziazione di geni silenziati o il silenziamento di geni trascritti influenza in modo diretto la plasticità del cervello. Quindi assume importanza nella genesi delle malattie psichiatriche, non tanto la grnetica, quanto l’epigenetica, cioè la modulazione dei geni dei neuroni.

D’altra parte i primi antipsicotici sono stati scoperti negli anni 50 del secolo scorso, mentre l’evoluzione cerebrale è iniziata milioni di anni fa e l’uomo ha inventato prima il linguaggio degli psicofarmaci. Anche studi recenti sull’effetto placebo testimoniano come i recettori cerebrali in alcuni casi rispondano alle parole oltre che a i farmaci.

Le neuroscienze e la psicofarmacologia moderne lungi dal limitare l’importanza della psicoterapia ne ampliano le prospettive.

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