il diabete GIOVANILE
Sono un medico e sono anche uno psicoterapeuta. Uno dei miei obiettivi in questi anni è stato coniugare la medicina e la psicologia. Troppo spesso nella pratica si tende a distinguere le aree di influenza, sulla scia della distinzione tra mente e corpo ipotizzata da Aristotele. Ma prima di Aristotele, era Ippocrate che è stato il primo medico ma anche il primo psicologo. Lui, che era il nipote di Protagora, per dare una prescrizione si rifaceva alle tecniche di persuasione della filosofia sofista, cioè alle più antiche vestigia occidentali della moderna psicologia. Si narra che tutte le volte che aveva un paziente difficile si facesse accompagnare al capezzale del malato da suo zio perché persuadesse il malato ad affidarsi alle sue cure. La moderna tecnologia applicata alla medicina ha acuito la distanza tra chi cura il soma e chi cura la mente. La medicina moderna è stata investita a tal punto dalle innovazioni tecnologiche, da mettere in secondo piano addirittura l’anamnesi ed il vecchio caro esame obiettivo, cioè il colloquio con il paziente per raccogliere la sua storia clinica e la visita a mani nude del medico, con l’ausilio tecnico del solo fonendoscopio, che però restano ancora validi strumenti diagnostici ed anche i più economici. So che agli occhi del lettore ed anche di qualche medico questo possa sembrare un tentativo romantico di rivalutazione di cose ritenute obsolete. Però posso garantire che la tecnologia non ha ancora soppiantato il dialogo col paziente e la normale visita al letto del malato. Nella mia pratica di psicoterapeuta, proprio perché noi parliamo con i pazienti, mi è anche capitato di dover contrastare la diagnosi di tumore fatta dalle Risonanze e dalla Tac e dopo varie diatribe vedermi dare ragione dal collega chirurgo alla vigilia di un intervento già programmato. Un buon colloquio può addirittura sfatare la diagnosi di carcinoma pancreatico, nel caso in questione, seppur fatta con le più avanzate tecniche diagnostiche, con la conseguenza di rimandare un signore alle sue buone abitudini di pensionato invece che in sala operatoria con una diagnosi infausta. Appunto una scienza medica che sa usare la tecnologia, ma che conserva l’anima, cioè la considerazione della narrazione del paziente, della sua originalità anche nell’evidenziare i sintomi o i presunti sintomi di malattia.
Un campo dove è evidente la connessione tra mente e corpo, tra parola e tecnica, è nel capitolo delle malattie psicosomatiche, dove si può guarire il corpo a partire dalla mente e dove si può viceversa guarire la mente a partire dal corpo. Malattie dermatologiche ed immunologiche sono altrettanti terreni dove la psicoterapia può coadiuvare la medicina nell’ottenere miglioramenti o guarigioni. Particolarmente evidente è il collegamento tra mente e corpo nelle malattie dismetaboliche. Nella pratica quotidiana di psicoterapeuta sono già centinaia i casi di persone che venute da me per un qualche problema psicologico, una volta terminata con successo la psicoterapia, hanno visto tutti i parametri biologici normalizzarsi. Ormoni tiroidei tornati nella norma, enzimi epatici e pancreatici rientrati nel normale range, ovviamente documentati con costanti monitoraggi dai colleghi endocrinologi e gastroenterologi. Nulla di magico o illusorio. Il collegamento tra cervello, sede della mente, e corpo è chiaro anche da un punto di vista anatomico, basti fare riferimento all’asse ipotalamo-ipofisi-tiroide-organi metabolici: intestino, fegato…
Sulla scia di queste riflessioni, d’accordo con un collega endocrinologo ospedaliero si è deciso di quantificare questa connessione. Si è scelto di cominciare con il Diabete di tipo I, il Diabete Giovanile. Accanto a studi sulle nano-tecnologie effettuati dal collega, in collaborazione con l’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, per la messa a punto di sistemi sempre più intelligenti di perfusione con l’insulina, quindi accanto a studi tecnologici di eccellenza, in via sperimentale si è deciso di lavorare con un gruppo di pazienti per abbinare alle terapie mediche la Psicoterapia Strategica. La Terapia Strategica Giorgio Nardone’s model[1] è particolarmente adatta a collaborare con la medicina perché è un approccio pragmatico che ha l’obiettivo di sbloccare rigidità del Sistema Percettivo Reattivo, nel caso in questione relative alla diagnosi inaspettata di diabete nel giovane e per avere la peculiarità di lavorare sulle risorse della persona intatte e potenzialmente disponibili per superare i limiti imposti dalle terapie mediche. L’obiettivo è curare non solo la malattia, ma diagnosticare come la malattia venga inserita nella narrazione della persona, nel suo sistema di percezione della realtà e come la terapia per funzionare al meglio debba essere inserita in quella narrazione. Come spiega il genetista Sermonti[2], la scienza dimostra di avere un’anima nel momento in cui si inserisce in una narrazione, in questo caso la narrazione individuale, che è l’originalità del paziente con i suoi valori. Curare ad esempio un atleta vuol dire garantirgli la possibilità di proseguire l’attività e di avere performance: la leva terapeutica è l’obiettivo sportivo; una giovane donna potrebbe invece avere l’obiettivo della maternità. Da un punto di vista strettamente tecnico faremo uno studio longitudinale, cioè valuteremo l’andamento dei cambiamenti dei parametri metabolici dopo psicoterapia in rapporto all’andamento prima della psicoterapia ed al variare dell’atteggiamento psichico nei riguardi della patologia. In seguito si effettuerà una ricerca trasversale: valuteremo l’andamento dei parametri metabolici nelle persone seguite con psicoterapia rispetto a pazienti trattati solo da un punto di vista biologico ovviamente a parità di età, condizione socio-economica e culturale, compenso del diabete, peso, comportamento dietetico.
In un recente libro, Fabrizio Benedetti, neurofisiologo dell’Università di Torino, ha stabilito che le parole possono coadiuvare i farmaci nel guarire le malattie. Le buone parole influenzano la secrezione di neurotrasmettitori, favorendo anche da un punto di vista organico processi di guarigione[3]. Quello che andiamo a sperimentare è l’influenza di buone parole e di buone strategie sull’andamento clinico della terapia farmacologica e sulla qualità della vita di pazienti medicalizzati. La psicoterapia non sarà intesa in modo riduttivo, come d’altra parte spesso avviene, come un supporto al paziente medicalizzato, ma come un agente complementare ed integrato alla terapia complessiva del paziente.
Lo studio è stato da poco pianificato, ma è stato già svolto qualche incontro di gruppo con i pazienti, che si sono dimostrati entusiasti dell’idea, testimoniando che quando gli operatori sanitari propongono qualcosa di innovativo non solo da un punto di vista tecnologico ma anche umano il consenso e la collaborazione sono garantiti.
[1] Nardone, G.; Watzlawick, P., L’arte del cambiamento, Ponte alle Grazie, Milano, 1990
[2] Sermonti, G., Una scienza senz’anima, Lindau, Torino, 2019 (prima pubblicazione 2008)
[3] Benedetti, F., La speranza è un farmaco, Mondadori, Milano, 2018