Video intervista ad Andrea Vallarino sul canale Facebook del Centro di Terapia Strategica di Arezzo
Il tema della psicosi rappresenta un terreno di incontro tra la psicoterapia, le neuroscienze e la psicofarmacologia.
Innanzitutto bisogna definire la psicosi, che è una sindrome che denota più malattie. La malattia più significativa tra le psicosi è la schizofrenia.
La schizofrenia viene definita da sintomi positivi, laddove per positivi si intende che aggiungono qualcosa al paziente, non certo che sono funzionali: deliri e allucinazioni. Tra i deliri quello più evocativo è il delirio di persecuzione. Il paziente ritiene di essere vittima di complotti o di essere controllato da forze esterne; ma anche il delirio di grandezza ed il delirio religioso. E da sintomi negativi, perché sottraggono qualcosa alle risorse della persona: sintomi cognitivi come eloqui senza senso, incapacità di definire i contesti relazionali, comportamenti afinalistici, comportamenti aggressivi, abulia, alogia, anedonia.
Il problema è come diagnosticare la schizofrenia. Al riguardo mi viene in mente l’esperimento di David L. Roshenam per verificare la scientificità delle diagnosi psichiatriche. Un gruppo di otto pseudopazienti, tra cui psicologi e psichiatri, che decisero segretamente, a scopo di ricerca, di presentarsi in vari ospedali lamentando sintomi e disturbi di natura psichiatrica (sentivano delle voci). Furono tutti quanti ricoverati in reparti di psichiatria.
Dopo qualche giorno di ricovero avrebbero dovuto mostrarsi per quello che erano e cioè persone “sane”. Tutte le volte che gli veniva chiesto come stavano esibivano la loro salute mentale, dicendo come d‘altra parte era vero, che si sentivano bene, che non sentivano le voci, che non avevano più nessuno dei sintomi psichiatrici per cui erano stati ricoverati con la diagnosi di “schizofrenia”, né avevano alcun altro sintomo. Non ci fu verso perché tutti vennero dimessi dopo altri lunghi giorni e settimane di ricovero con la diagnosi confermata di “schizofrenia” anche se in remissione. Gli unici che si accorsero del ‘gioco’ furono gli altri pazienti che individuarono gli ‘infiltrati’, dicendo: ‘…tu non sei pazzo, tu sei un professore universitario; …tu un giornalista…, etc.’.
In terapia strategica si privilegia la diagnosi operativa: si interviene sulla persona con tecniche non invasive per verificare la diagnosi sulla base della risposta all’intervento. Nell’ambito delle psicosi si interviene con un controdelirio. L’esempio più fulmineo di controdelirio che io ricordo è il caso descritto da Don D. Jackson, fondatore del Mental Research Institute di Palo Alto in California, del paziente che entra nella stanza della seduta psicoterapeutica, si siede e dice: “Dottore, dottore, lei sa che qui in questa stanza ci sono delle microspie?” Ed il dottore disse: “ Ah, sì? Cerchiamole!” Si misero a cercare insieme le microspie per un po’, finché il paziente si fermò e disse: “Dottore, qui uno dei due è pazzo!” Secondo la logica della contraddizione, il limite di un delirio è un delirio più grande, per cui la strategia usata con i pazienti in questi casi è o assecondare il delirio, condividendolo con il paziente, o idearne uno simile per struttura, ma più grande per contesto. Un medico o uno psicologo, semplicemente assecondando un delirio, creano un doppio legame terapeutico al posto dei doppi legami patogeni cui sono stati sottoposti i pazienti nei loro contesti. Si devono creare di volta in volta controdeliri calzanti. Ad un delirio religioso si risponde con un controdelirio religioso. Ad un delirio su base tecnologica (mi spiano attraverso il computer), si risponde con un controdelirio tecnologico.
Se poi, attraverso i metodi della psicoterapia, il paziente guarisce si conclude di essere stati di fronte ad una presunta psicosi, in quanto la psicosi vera per definizione è inguaribile.
Nel caso, invece, ci si trovi di fronte ad una schizofrenia vera occorre utilizzare anche gli psicofarmaci.
Per somministrare gli psicofarmaci bisogna conoscere bene la neurotrasmissione chimica del cervello. La base della psicofarmacologia è la conoscenza dei neurotrasmettitori chimici che sono alcune dozzine, ma al momento quelli importanti per guidare la cura farmacologica delle sindromi psichiatriche sono sei: acetilcolina, noradrenalina, serotonina dopamina, glutammato, GABA (acido gamma amino butirrico).
Il neurotrasmettitore implicato nella schizofrenia è la dopamina. Le neuroscienze moderne ipotizzano che nella schizofrenia ci sia una disconnessione tra neuroni gabaergici e circuiti glutammatergici che si attivano in modo eccessivo attivando a loro volta i circuiti dopaminergici con la secrezione di un eccesso di dopamina, che è alla base dei sintomi postivi con la stimolazione della via mesolimbica che coinvolge il nucleo accumbens (adiacente, accumbens septi, adiacente al setto che divide l’emisfero destro dall’emisfero sinistro del cervello. In altre vie come la via mesocorticale, la via nigrostriatale e la via tuberoinfundibolare con lo stesso meccanismo dell’attivazione delle vie glutammatergiche si crea una diminuzione della dopamina, perché tra la vie glutammatergiche e le vie dopaminergiche si inseriscono neuroni gabaergici che hanno una funzione inibitoria. E’ la teoria dei quattro neuroni: la disconnessione tra una neurone gabaergico e la via glutammatergica crea una’attivazione dei neuroni glutammato che crea un’attivazione di un neurone GABA inibitore del neurone a dopamina, creando un deficit di dopamina nelle vie citate con la creazione di sintomi motori, tremori a tipo Parkinson, sintomi cognitivi, emotivi, ed anche ormonali con galattorrea tanto nell’uomo che nella donna. Su questi sintomi i farmaci a disposizione sono gli antipsicotici di prima generazione come l’aloperidolo, che però hanno importanti effetti collaterali, antipsicotici di seconda generazione, che vengono detti anche antipsicotici atipici perché hanno meno effetti collaterali, e infine antipsicotici di terza generazione (agonisti parziali) che allo stesso modo creano meno effetti collaterali.
Quello che colpisce nell’analisi della schizofrenia da parte dei neuroscienziati è che vengono accreditate molte delle tesi della psicoterapia, in particolare della terapia strategica. I neuroscienziati negano che ci sia una causa genetica della schizofrenia. D’altra parte la prova più evidente di questo risiede nei gemelli omozigoti che hanno lo stesso patrimonio genetico, in cui uno dei gemelli diventa schizofrenico e l’altro invece no. Se fosse vera la teoria genetica dovrebbero essere o entrambi schizofrenici o entrambi sani.
Lo studio della neurotrasmissione chimica, che viene detta anche la Farmacopea di Dio ha evidenziato come i neurotrasmettitori hanno influenze sulla trascrizione o sul silenziamento dei geni dei neuroni. Gli psicofarmaci agirebbero, in via sperimentale almeno, come favorenti o inibenti della trascrizione e del silenziamento dei geni dei neuroni. Allo stesso modo agirebbero le tecniche e le parole della psicoterapia. E’ vero quindi che la genetica dei neuroni influenza il comportamento, ma è altresì vero che il comportamento influenza la genetica. La psicoterapia creando anche nuovi circuiti polisinaptici ed influenzando la evidenziazione di geni silenziati o il silenziamento di geni trascritti influenza in modo diretto la plasticità del cervello. Quindi assume importanza nella genesi delle malattie psichiatriche, non tanto la grnetica, quanto l’epigenetica, cioè la modulazione dei geni dei neuroni.
D’altra parte i primi antipsicotici sono stati scoperti negli anni 50 del secolo scorso, mentre l’evoluzione cerebrale è iniziata milioni di anni fa e l’uomo ha inventato prima il linguaggio degli psicofarmaci. Anche studi recenti sull’effetto placebo testimoniano come i recettori cerebrali in alcuni casi rispondano alle parole oltre che a i farmaci.
Le neuroscienze e la psicofarmacologia moderne lungi dal limitare l’importanza della psicoterapia ne ampliano le prospettive.